Universinet.it – Il black carbon, noto anche come carbonio nero, emerge come un inquinante atmosferico significativo con un impatto notevole sul riscaldamento climatico, specialmente nell’Artico. Questa regione, remota e apparentemente isolata, si trova al centro di ricerche approfondite che mirano a svelare i complessi meccanismi attraverso i quali il black carbon vi giunge dalle medie latitudini, dove si trovano le sue principali fonti di emissione.
Una svolta importante in questo campo di studio è stata raggiunta dai ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con l’Università di Stoccolma e l’ETH di Zurigo. Dedicandosi a oltre quattro anni di monitoraggio continuativo nella regione artica, questi scienziati hanno non solo misurato le variazioni temporali nella concentrazione di black carbon ma hanno anche iniziato a decifrare i fattori che influenzano tali variazioni.
Il carbonio nero, prodotto principalmente dalle attività umane e dagli incendi in aree di medie e basse latitudini, ha la capacità di persistere nell’atmosfera per periodi prolungati. Raggiungendo l’Artico, contribuisce al riscaldamento dell’atmosfera e accelera il processo di fusione di neve e ghiaccio. La ricercatrice del Cnr-Isp, Stefania Gilardoni, sottolinea un’importante lacuna nei modelli climatici attuali, che faticano a riprodurre la variabilità temporale del black carbon nell’Artico, ostacolando la previsione accurata dei suoi impatti sul clima.
Il progetto di ricerca, finanziato dal Programma di Ricerche in Artico (PRA) e sostenuto dalla rete dello Svalbard Integrated Observing System (SIOS), ha adottato tecniche avanzate di intelligenza artificiale, come il machine learning, per analizzare i dati raccolti presso l’osservatorio atmosferico di Gruvebadet, nelle isole Svalbard. Questo approccio ha rivelato una marcata variabilità stagionale nelle concentrazioni di black carbon, con picchi tra dicembre e aprile, attribuibili a differenze nella frequenza e intensità delle piogge che, soprattutto tra maggio e novembre, riducono significativamente la presenza di questo inquinante nell’atmosfera.
Ulteriori osservazioni hanno evidenziato come, all’interno di una stessa stagione, la concentrazione di black carbon sia influenzata da temperatura e fenomeni meteorologici. Durante i mesi freddi, le maggiori concentrazioni sono associate al trasporto di masse d’aria fredda dal nord Europa e dalla Siberia, mentre nei mesi più caldi, sono i venti provenienti da regioni più calde a medie latitudini a portare quantità maggiori di black carbon nell’Artico.
Questo studio non solo evidenzia l’importanza dell’osservatorio di Gruvebadet per la comprensione dei processi atmosferici su scala ampia ma offre anche dati preziosi per l’aggiornamento dei modelli climatici. Questi risultati aprono nuove prospettive sulla comprensione dell’impatto dei cambiamenti meteorologici e della circolazione atmosferica, indotti dai cambiamenti climatici, sulla concentrazione di black carbon nell’Artico e sul clima a scala regionale e globale.