Il principio dell’universalità dei diritti non viene riconosciuto: la donna conta meno degli animali e la nascita di una bambina viene considerata una “disgrazia”. Leggi la storia di Amina. Nascere donna, in ancora troppi paesi del mondo, è una vera sciagura.
Il principio dell’universalità dei diritti non viene riconosciuto: la donna conta meno degli animali e la nascita di una bambina viene considerata una “disgrazia” per la famiglia.
E il rispetto per la sessualità è sempre meno considerato, tanto che vengono ancora osservate tradizioni come quella della mutilazione genitale (i cosiddetti riti atavici), che serve a segnare il “passaggio dalla fanciullezza all’età adulta”.
Nei Paesi africani e in Medio Oriente, fino ad ora si contano circa 130 milioni di ragazze “consacrate” secondo questi riti, svolti con competenze e in condizioni igieniche a dir poco discutibili.
Ricordiamo, poi, le afghane, costrette nella prigione del burqa: non possono studiare, né parlare con un uomo che non sia il marito, il fratello o il padre; non possono lavorare e nemmeno risposarsi se restano vedove. Molte di loro si trovano quindi a sopravvivere solo di prostituzione, rischiando, se scoperte, di essere lapidate.
La storia di Amina
A proposito di lapidazione, Amina Lawal ne sa più di qualcosa.Trentacinquenne e divorziata, è stata accusata di adulterio dall’ex-suocero: la prova ne sarebbe la piccola Wasila, di otto mesi, avuta da un rapporto extra-matrimoniale e, peraltro, non riconosciuta dal padre.
Amina ha subito un processo, la sua testimonianza è stata ascoltata, ma non vale quanto quella di un uomo. Così, il 20 agosto del 2002, il tribunale di Funtua (Nigeria) ha emesso la condanna a morte. Per questo “reato”, la sharia (la legge islamica) prevede la lapidazione: nel 2004 (giusto il tempo di svezzare la bimba), Amina sarà sepolta fino al collo e le verranno scagliati contro dei sassi.
L’unica cosa che la potrà salvare dalle pietre sarà la mobilitazione internazionale, amplificata dai media: con lo stesso metodo, già Safiya Hussaini e Abok Alfa Akok sono state scagionate dalla stessa condanna, emessa per lo stesso motivo.
Sono moltissime le iniziative intraprese perché la condanna a morte venga annullata: fiaccolate e manifestazioni, ma anche interventi dal web: innanzitutto l’appello di Amnesty International (www.amnesty.it), che è possibile sottoscrivere on line; poi l’invio di e-mail al governo nigeriano (tramite il form su: www.slp-cisl.it/nuovosito/i_percorsi/amina/amina.html ) o all’Ambasciata Romana della Nigeria (nigerian.rome@iol.it); ed infine il forum di discussione “Interaction&Culture” del Dipartimento di Psicologia Generale dell’università di Padova (www.psy.unipd.it/~mantovani/forum).
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