Lectio di Rubbia e Vittadini alla presentazione di Nova Universitas
Con una relazione dal titolo Gli investimenti in capitale umano, il premio nobel Carlo Rubbia ha parlato sugli errori italiani in termini di utilizzo di fonti energetiche. È motivo di grande compiacimento oggi salutare la nascita di Nova Universitas: un’iniziativa di grande prestigio che rafforza il ruolo dell’Alta Formazione e delle risorse scientifiche nel panorama delle università italiane”.
Con queste parole il rettore della Federico II Guido Trombetti ha salutato la platea accorsa alla manifestazione inaugurale del Consorzio Nova Universitas, presentato il 2 marzo al Centro Congressi di Monte Sant’Angelo. “Mai come in questo momento di particolare difficoltà per le università – ha aggiunto il rettore – essere capaci di iniziative concrete e di prestigio come questa è fatto importante per la vita degli stessi Atenei. Ovunque si sente affermare che senza ricerca e formazione il paese non può ripartire. Oggi con questa Scuola stiamo dimostrando il nostro deciso contributo al cambiamento”.
Dopo i ringraziamenti del professore Carlo Lauro, presidente del neonato consorzio, la parola è passata a due ospiti di prestigio: Giorgio Vittadini, professore di Statistica dell’Università Milano Bicocca – che insieme con la Luiss Guido Carli di Roma, l’Università degli Studi di Macerata, l’Università degli Studi di Udine e, naturalmente, la Federico II forma il Consorzio – e al premio nobel Carlo Rubbia.
Con una relazione dal titolo Gli investimenti in capitale umano: fattore di sviluppo il professore Vittadini ha dimostrato come in Italia, in termini di investimenti in capitale umano, ci sia un gap qualitativo notevole rispetto agli altri paesi europei nonostante: “in Italia non è vero che non si investe, ma si investe male in termini di CU. Resta infatti una distanza di tipo qualitativo con gli altri paesi europei: ne è esempio il fatto che in Italia nel curriculum scolastico dei ragazzi tra i 7 e i 14 anni sono previste 8.000 ore di lezione su una media europea di 6.800 ore”. Quale la soluzione allora? “Bisogna migliorare la qualità degli investimenti in capitale umano – ha commentato il professore – puntando sempre di più sull’alta formazione, su dottorati e master, affinché l’Italia non resti fanalino di coda in Europa”.
Sull’energia e sulle prospettive scientifiche future si è invece intrattenuto il premio nobel Carlo Rubbia, snocciolando nella sua precisa relazione, quali sono stati gli errori italiani in termini di utilizzo di fonti energetiche.
“Oggi gli effetti secondari dovuti all’utilizzazione sempre più massiccia delle fonti di energia si pongono come problema non più ignorabile da parte dei governi. Risulta necessario dunque introdurre con determinazione politiche correttive da parte dei governi che servano a mitigare gli effetti secondari su individui e pianeta”.
Nel caso dell’Italia, ha continuato Rubbia, gli elementi patologici sono rappresentati dalla dipendenza da fonti estere di energia primaria e dall’aver puntato eccessivamente sul petrolio. “Il risultato è che oggi in Italia il prezzo di borsa dell’energia elettrica è largamente più elevato che nei paesi limitrofi. Il primo urgente passo è l’eliminazione del petrolio a vantaggio del carbone pulito, tenendo sempre uno sguardo sull’opzione nuovo nucleare, investendo in solare termodinamico e in energia eolica ma, soprattutto, adottando una precisa politica governativa che investa in ricerca e sviluppo valorizzando al massimo le energie endogene anche in termini di capitale umano”.
Smessi i panni di uomo di scienza, Rubbia ha voluto parlare da cittadino alla platea numerosa accorsa ad ascoltare la sua lectio. “Sono scienziato ma non posso redimermi dal mio ruolo di cittadino. La situazione italiana è preoccupante: un paese che da tempo non cresce anzi arretra di fronte agli altri. C’è sfiducia e convinzione che i nostri figli saranno in media meno ricchi e fortunati di noi. Situazione sconcertante data da diminuzione della produttività del -1.5%; riduzione esportazioni, crescita del sommerso al 25% del PIL, stagnazione dell’innovazione, fuga dei cervelli (5.000 italiani altamente qualificati ogni anno dal 1998 al 2003 hanno abbandonato l’Italia per gli Stati Uniti)”. Quale la terapia? “Insistere su scuola e sistema educativo, ricerca e innovazione, infrastrutture, concorrenza e semplificazione burocratica. Scegliere poi un numero limitato di settori nei quali potenziare il ruolo della ricerca e dello sviluppo nel quadro di una problematica nazionale e internazionale di sviluppo sostenibile”. (a.m.)
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