ROMA – Eliminare l’indifferenza e preservare l’individualità è la sfida del giornalista di oggi. L’incontro con alcuni dei più grandi nomi del, coordinato da Renato Reggiani, membro del Senato Accademico e giovane giornalista, si è tenuto venerdì 19 marzo presso il Centro Congressi della Facoltà di Sociologia della Università La Sapienza .
Interventi principali
Pino Scaccia è stato il primo a parlare, chiarendo subito un punto fondamentale: “La verità assoluta non esiste!”. Esiste, o dovrebbe esistere, una libertà assoluta del professionista dell’informazione, che riveste il privilegiato ruolo di mediatore tra la gente e gli eventi che accadono nel mondo. Questo professionista ha un solo metro di giudizio: la sua anima.
Più pessimista è apparso Pietro Suber, che ha affrontato il problema della manipolazione e della spettacolarizzazione delle notizie. Secondo lui, benessere, vendita e audience intaccano la verità e, di conseguenza, la credibilità delle informazioni che riceviamo quotidianamente.
Alla domanda posta da Renato Reggiani, organizzatore del convegno, riguardo a ciò che può spingere un giornalista verso un compito tanto arduo e pericoloso come quello del giornalista di guerra, ha risposto Toni Capuozzo. Per lui, come per molti altri, il caso ha giocato un ruolo preponderante: “C’è una specie di imprinting della prima volta!”, afferma. Capuozzo ha poi chiarito il suo dissenso nei confronti dell’etichetta di “giornalista di guerra,” un’affermazione condivisa e ribadita più volte nel corso della discussione. Il cronista è colui che riesce a vedere ciò che è sempre sotto i nostri occhi ma che sfugge all’attenzione altrui. Se è vero che non esiste la verità assoluta, esistono tanti spicchi di verità, come anelli di una lunga catena. Il cronista deve saper cogliere ciò che stupisce, quasi con ingenuità fanciullesca, scevro da pregiudizi e ideologia, come colui che è alla ricerca di un tesoro da condividere con altri, perché il fine non è arrivare, ma scoprire e raccontare. Solo così ci si libera dal conformismo. E proprio quando apparentemente non c’è nulla da raccontare, quando il gusto del racconto è l’unico elemento guida, lì si misura la sensibilità e la stoffa del professionista.
Maurizio Torrealta ha offerto un intervento più pratico, chiedendo: “Chi decide la vittoria o la sconfitta di una guerra?”. Alla luce dei dati sugli schieramenti sul campo della battaglia mediatica, la risposta appare chiara: l’informazione!
È solo a questo punto che una voce femminile ha vibrato in sala. Barbara Schiavallo, donna e free-lance, ha illustrato il duplice aspetto problematico del suo lavoro. Ha usato poche ma dirette parole per raccontare le difficoltà di chi agisce con le spalle scoperte, senza soldi, senza appoggi, ponendosi al servizio dell’informazione. Schiavallo è apparsa come l’emblema della passione pura e semplice, incondizionata per il lavoro che svolge.
Discussioni parallele
Il convegno è proseguito su vie parallele, con l’intervento di un rappresentante della MISNA, un’agenzia giornalistica specializzata nel diffondere notizie su quei luoghi che spesso restano indifferenti al giornalismo di serie A. Ha ribadito: “Non è contro-informazione!”
Infine, si è discusso sul legame esistente tra l’industria dell’intrattenimento e la guerra: “Videogiochi e guerra, due facce della stessa medaglia?” Pare proprio di sì, ha affermato il giovane della Università di Pisa Fabio Viola esperto di wargames e videoludica.
Conclusione del convegno
Il convegno si è concluso con una serie di domande e curiosità da parte dei giovani presenti. Il punto focale è rimasto lo stesso: non esistono giornalisti di nessun genere, esiste l’uomo che si reca sul posto, osserva e racconta.
Rosa Pugliese