Vi presentiamo l'intervista a uno degli appartenenti alla nuova generazione dei registi italiani: Paolo Virzì regista di Ovosodo e Baci e Abbracci
Paolo Virzì, giacca blu e cappellino scuro, entra nell’Aula Magna della Facoltà di Sociologia a Roma. E’ atteso per un incontro, quasi una lezione: parlare con gli studenti universitari di Cinema, di narrativa, e alla fine di vita. Anche della sua.
Dopo il rituale dei saluti e degli applausi iniziano le domande. Gli danno del tu i ragazzi, ma viene spontaneo, naturale.
Come coniughi leggerezza e profondità dei temi sociali?
La domanda è secca, forse banale, ma sicuramente fondata su premesse inappuntabili. E’ questa la forza di Virzì.
E la risposta è nel suo personaggio, nelle sue parole semplici, cariche di colta leggerezza, appunto. Parla di segreti dell’artigiano l’autore di Ovosodo e di Baci e abbracci, parla dell’amore per la penna, dell’importanza della vita, quella fuori, quella dei cortili e delle fabbriche. L’osservare, la voglia di scrivere quello che c’è nei retroscena, tra le righe della quotidianità, tra i suoi fili sparsi.
Questo è il cinema: la splendida illusione che la vita non finisca qui e ora, l’illusione che le cose accadano secondo un senso, anche crudele, imprevedibile, spesso vago, ma sottilmente logico.
Così Virzì snocciola gli ingredienti del suo cinema, incentrato sulla parola, via privilegiata per raggiungere se stessi e gli altri, cavalcando tutti i ritmi della vita. I dialoghi di Virzì spesso sono monologhi a più voci, a più livelli, semplici in superficie, eppure autentici e profondi nello stesso istante. E carichi d’ironia. La sua forza.
Lei lavora molto alla sceneggiatura… come si faceva un tempo?
Sì. Virzì nasce come sceneggiatore, come amante della narrativa, stordito di romanzi, a 15 anni, come qualcuno di canne. Solo rispettando le tecniche della narrazione classica solo lavorando sulla coesione degli episodi e sulla sovrapposizione delle scene, alla Fellini per intenderci; solo così si invoglia lo spettatore all’attenzione. Come dargli torto? Ho molto rispetto per la narrativa popolare, continua Virzì, cerco di omaggiare la scrittura, anche se con evidenti limiti… inserendo nei miei film i riferimenti letterari più legati alla mia personalità. Ricorda Dickens, Proust, romanzi, capitoli, scene. Con umiltà e passione. Da lettore sincero, rivendicando il diritto alla citazione incompleta. Citare cinema e narrativa non è necessariamente appropriazione indebita. È molto emozionante carpire i segreti delle botteghe altrui, per rimescolarli poi, con rispetto e moderazione. Così è nella letteratura, da Omero in poi, così è nel cinema… talvolta. Poi parla del passato italiano, delle grandi scuole di Sordi, Totò, Manfredi, Visconti, Fellini. Con lucido senso critico ed umorismo.
Cosa faceva prima di fare il regista?
Già, prima. Lettere a Pisa, ad un soffio dalla laurea. Poi, all’improvviso, la scuola di cinema, lo studio delle tecniche, l’incontro con il maestro Scarpelli uno tosto della grande generazione, la fame talvolta, l’entusiasmo sempre, sempre la voglia di mettersi in discussione, qualche momento d’amarezza, e il pubblico alla fine. Il suo pubblico.
Come in un film di quelli belli, con gli occhi fissi sui titoli di coda, e un finale giusto, cercato, voluto.
Grazie Virzì.
Copyright RAM Multimedia 2001-2002. Riproduzione riservata