Roma La Sapienza-11 settembre 2003. Il terroristico test di ammissione a Psicologia L'esperienza raccontata da uno dei protagonisti di quel giorno.
Il ragazzo alto e capellone a cui mi ero rivolto per avere informazioni mi parlò di una prova di matematica difficilissima. Come se non bastasse, la sua dolce metà citò gli esempi delle proprie amiche che, l’anno precedente, non avevano superato il test.
Se fossi stato in cerca di buone news e di tranquillità, di certo mi ero rivolto alle persone meno adatte! Ma, fortunatamente, poiché non avevo simili aspettative, non raccolsi l’atto di terrorismo psicologico. Tutto ciò di cui avevo bisogno – oltre a un caffè o a una secchiata d’acqua gelida, dato che quella mattina mi ero svegliato piuttosto presto – era qualcuno con cui scambiare due parole nell’attesa dell’apertura dei cancelli della Facoltà di Psicologia, alla quale avrebbe fatto seguito la selezione ufficiale di quanti, tra tutti noi aspiranti Psicologi, avrebbero avuto accesso agli affascinanti studi dell’anima.
Ai piedi dell’edificio eravamo più di mille persone. Una folla immensa, una distesa infinita di sagome immobili e in movimento, ragazzi e ragazze, giovani ma anche adulti, sguardi entusiasti, ansiosi, sereni, speranzosi e indifferenti, in generale tutte persone accomunate dalla voglia di dedicarsi pienamente a qualcosa di nuovo. Le vibrazioni prodotte dalle innumerevoli parole che venivano pronunciate permeavano l’aria per poi disperdersi, trasportate dal vento. Alcuni parlavano del più e del meno o si dedicavano, rilassati, a pensieri piacevoli; altri esternavano desideri e timori fino ad allora inconfessati, o si raccontavano aneddoti sui test di ingresso; altri ancora, pensierosi, erano alle prese con un interlocutore invisibile, quella vocina che esiste solo nella nostra testa e, ponendoci dubbi, obiettivi, aspettative, ci suggerisce il modo più efficace per metterci in ansia… Gli appassionati del Grande Fratello saranno ben lieti di veder confermato che l’omino del cervello – tanto caro al celeberrimo Pasquale – in qualche modo dimora in ognuno di noi!
Era l’11 settembre 2003. Una data che molti ricordano in negativo come l’anniversario dell’atto più incisivo e drammatico di tutti i tempi compiuto dal terrorismo nei confronti della cosiddetta “civiltà”. Una data che per me è coincisa con l’inizio ufficiale della mia avventura in un nuovo percorso di studi, dopo i tre anni trascorsi nella Facoltà di Ingegneria, anni che mi vedono ormai prossimo al conseguimento della laurea triennale in Ingegneria Informatica.
Con un certo ritardo rispetto all’orario previsto i cancelli vennero aperti. Ebbi un posto in prima fila, tra una romana e una pugliese, entrambe diplomatesi quest’anno, entrambe al loro esordio nell’ambiente universitario.
Dopo aver ascoltato il regolamento della prova, che ci venne spiegato da un docente, e dopo aver ottenuto con caparbietà, nonostante le resistenze del docente stesso, informazioni riguardo l’assegnazione dei punteggi, ebbero inizio i 90 minuti destinati allo svolgimento del test. I quesiti a risposta multipla riguardavano comprensione di vocaboli e testi, ragionamento matematico e ragionamento logico. Nel complesso furono abbastanza scorrevoli, a parte qualche dubbio. Terminai con 15 minuti di anticipo e, nell’attesa di poter consegnare, mi trastullai annerendo con perfezionismo quasi maniacale tutte le losanghe senza lasciare spazi bianchi per evitare che al lettore ottico sfuggisse qualche mia risposta.
Attingendo tra i miei ricordi alla ricerca di ciò che oggi mi resta dell’esperienza che sto raccontando, quando ripenso a quella mattinata mi tornano in mente, tra le altre cose: le persone che ho conosciuto, con alcune delle quali sono ancora in contatto; la consapevolezza di trovarmi in un ambiente stimolante dove molti miei interessi erano comuni a tutti; la piacevole sensazione, in generale, di essere al posto giusto nel momento giusto.
Mi colpì anche la paradossale domanda rivoltami dal docente che, riferendosi alla mia decisione di non specializzarmi in Ingegneria e di studiare anche Psicologia, mi chiese se un giorno intendessi lavorare “o” se intendessi trascorrere il mio tempo all’università; paradossale perché le due alternative mi vennero poste come se fossero incompatibili proprio da una persona che, come ogni docente universitario, ha fatto dello studio e dell’attività didattica un lavoro! Superficialità? Attitudine propria di molti educatori alla creazione di dualismi interiori e preoccupazioni per il futuro da infondere abilmente negli educandi? Terrorismo esistenziale? Ai posteri l’ardua sentenza!
Alcune sere dopo su Internet furono pubblicati i risultati della prova. Il mio score era di 84 risposte esatte su 90; quattro errori in più di quelli di cui ero già a conoscenza, ma non erano stati abbastanza numerosi da impedirmi di superare il test o da impedire al software che si occupava di stilare la classifica di piazzare quel semplice ed eloquente “UNO” nello spazio riservato alla “posizione in graduatoria” vicino al mio nome… La nuova avventura cominciava decisamente bene!
Roberto