Di Renato Reggiani
UniversiNet.it – Sotto un cielo grigio che sembra rispecchiare le prospettive di pace, Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina, si presenta all’Aula Paolo VI. Si può leggere sulla sua figura il peso di un conflitto che sembra non avere fine. La sua felpa militare, l’aria tesa, gli capelli ingrigiti sono simboli di una nazione tormentata, uno specchio di una realtà che si è trasformata in un incubo.
Eppure, nonostante l’oscurità del quadro, il Vaticano cerca un barlume di speranza, un sentiero che possa portare alla pace. Ma Zelensky è chiaro: l’Ucraina non ha bisogno di mediatori esterni. L’ unica proposta di pace sul tavolo è quella ucraina, nessun’altra. E anche se il Papa ha offerto il Vaticano come luogo di dialogo tra le parti, Zelensky non ha apparentemente intenzione di considerare una mediazione vaticana.
Nel corso dell’incontro, Zelensky chiede la condanna dei crimini russi in Ucraina. Le sue parole risuonano di una rabbia fredda, una rabbia alimentata dalla vista dei suoi concittadini che soffrono ogni giorno. Chiede giustizia, non solo dalla comunità internazionale, ma anche da una Chiesa che ha sempre predicato l’amore e la compassione.
Il Papa, da parte sua, non rinuncia alla possibilità di dialogo, nonostante Zelensky respinga l’offerta. Le strade della diplomazia possono essere tortuose e piene di insidie, ma non esauriscono mai le possibilità. Anche se la porta sembra chiusa, il Vaticano non rinuncia alla possibilità di inviare due cardinali a Kiev e Mosca con un estremo appello per la pace. Il dialogo umanitario resta la strada principale, nonostante le difficoltà politiche.
La speranza è una parola che risuona nel Vaticano, anche se la realtà sembra negarla. E anche se la pace sembra un sogno lontano, il Papa e il Vaticano insistono sulla necessità di continuare gli sforzi per raggiungerla. Perché, come sottolinea il Papa, la storia ha dimostrato che la violenza e l’oppressione non giovano al bene comune. E quindi, nonostante le parole di Zelensky, nonostante l’apparente rifiuto della mediazione, la speranza persiste. Non perché sia ingenua, ma perché senza di essa, tutto sembra perso. E in tempi di guerra, la speranza è spesso l’unica cosa che rimane.