Il ricordo del mio primo esame all’università ha i colori di un mattino di febbraio assolato…
…in cui il freddo pungente taglia il viso e tuttavia il sole si insinua tra gli alberi secchi. Mi sentivo raggelata al pensiero di trovarmi davanti ad una perfetta sconosciuta che, peraltro, aveva il compito di giudicarmi in quanto prof., e dover affidare il destino di quel momento alla memoria (che, si sa, spesso fa brutti scherzi!).
Vedevo intorno a me tutto bianco: no, non aveva nevicato, ma erano i visi dei miei compagni. E poi tutto nero: erano le righe del libro che scorrevano davanti ai miei occhi dubbiosi. L’attesa è durata parecchio, ma non saprei quantificarla in termini di tempo; un’ora o un minuto avevano in quel momento la stessa consistenza…
Lo spazio in cui quell’attesa è trascorsa me lo ricordo bene, invece: un corridoio lungo, come il miglio verde, e stretto, che terminava con una porta; quando la si oltrepassava voleva dire che era giunto il proprio momento. Parlare di “braccio della morte” o di condanna a morte è forse eccessivo (con il senno di poi…). In fondo ho pure socializzato con gli altri “visi pallidi” come me in attesa, ho scambiato mezze parole e mezzi sorrisi (tutto a metà finché si è appesi ad un filo!) e alcuni di loro sono tutt’ora miei compagni-amici a distanza di quattro anni. L’interrogazione vera e propria è durata un attimo, in confronto a tutto il resto. Il mese precedente trascorso sui libri era servito. Rispondevo alle domande e pian piano il mio primo esame volgeva alla fine, finché, improvvisamente, è apparso il sole, come conclusione alla tempesta di stati d’animo che aveva preceduto quel momento. “E’ finito tutto!”, pensavo,ma in realtà quella non era che la prima delle tempeste che avrebbero agitato la mia odissea universitaria.
Valentina Pinello Lettere Univ. La Sapienza
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