di Renato Reggiani
Roma – Incontriamo Il guru della cyber security israeliana Menny Barzilay, l’incontro organizzato dalla Camera di Commercio di Roma, Innovacamera, e Università di Roma Tre e la collaborazione dell’Ambasciatore di Israele Ofer Sachs. Per Manny Barzilay: «Siamo sommersi da informazioni irrilevanti che cercano di manipolarci, tutto quello che ci circonda diventerà Smart, IOT è una parola magica, anelli intelligenti, spazzole per capelli Smart e perfino water Smart…. Computer che parlano con computer, raccolgono enormi quantità di dati su di noi. Ci spostiamo da un mondo Always Off ad un mondo Always On.
Nuove tecnologie a basso costo permetto facilmente di creare filmati fake molto credibili, grazie a software manipolativibbasati su A.I.
Ma cosa accade se non ci possiamo più fidare della realtà?
Aziende innovative stanno creando ottimi strumenti che ci aiuteranno a condividere sempre più informazioni. Lo fanno perché capiscono il valore di possederne enormi quantità su di noi». Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, società di consulenza britannica che ha sfruttato in modo improprio i dati di 87 milioni di profili Facebook, siamo tutti (più) consapevoli del significato di questa affermazione e ci siamo resi conto di quanto sia collegata alla sicurezza informatica. L’assenza di quest’ultima, secondo il rapporto Clusit 2018, ha fatto nel 2017 un miliardo di vittime nel mondo. Nei soli Stati Uniti – secondo Norton – lo scorso anno più della metà della popolazione attiva online ha subito un’offensiva in Rete.
Altri due dati: tre settimane fa è stato reso noto che hacker non ancora identificati hanno rubato informazioni sensibili, come la posizione o la cronologia delle ricerche, di 29 milioni di iscritti a Facebook. Intanto Google sta per chiudere il suo social network Google+ dopo essersi reso conto di aver esposto 500 mila profili ai malintenzionati.
La sicurezza totale in Rete è ormai un’utopia… «Il cento per cento di sicurezza è impossibile da raggiungere. Nei prossimi anni dovremo anzi aspettarci attacchi a un numero sempre crescente di società. Il problema è che c’è un’asimmetria intrinseca tra l’hacking e la sicurezza. Gli hacker devono riuscire a colpire una sola volta, mentre chi si occupa di sicurezza non può mai fallire. Poi: l’hacking è molto economico e puoi rompere tutto ciò che vuoi, la sicurezza è molto costosa e deve seguire molte regole. Ecco: diciamo che la sicurezza deve proteggere un pallone a mani nude mentre l’hacker ha in mano un ago».
«Aziende meravigliose stanno creando ottimi strumenti che ci aiuteranno a condividere sempre più informazioni, e stanno sviluppando strumenti sempre più raffinati per l’analisi dei big data dato che capiscono il valore di possederne enormi quantità su di noi».
Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, società di consulenza inglese che ha sfruttato in modo improprio i dati di 87 milioni di profili Facebook, siamo tutti (più) consapevoli del significato di questa affermazione e ci siamo resi conto di quanto sia collegata alla sicurezza informatica.
L’assenza di quest’ultima, secondo il rapporto Clusit 2018, ha fatto nel 2017 un miliardo di vittime nel mondo. Nei soli Stati Uniti – secondo Norton – lo scorso anno più della metà della popolazione attiva online ha subito un’offensiva in Rete.
Altri due dati: tre settimane fa è stato reso noto che hacker non ancora identificati hanno rubato informazioni sensibili, come la posizione o la cronologia delle ricerche, di 29 milioni di iscritti a Facebook. Intanto Google sta per chiudere il suo social network Google+ dopo essersi reso conto di aver esposto 500 mila profili ai malintenzionati.
La sicurezza totale in Rete è ormai un’utopia… «Il cento per cento di sicurezza è impossibile da raggiungere. In pratica la sicurezza deve proteggere un pallone a mani nude mentre l’hacker ha in mano un ago».
Possiamo fare alcuni esercizi mentali, per esempio se andiamo al mare con la nostra fidanzata faremo un sacco di foto che metteremo sui social. Ma se un nostro collega stampasse la foto e la appendesse in ufficio, come ci comporteremmo?
Ci arrabbieremmo forse? Ma perché? Perché quando pubblichiamo qualcosa abbiamo una serie di regole da noi stabilite cui gli altri dovrebbero attenersi. Ma in verità queste nostre regole non sono quelle dei social.
Questi sono solo al uni esempi di cosa vuol dire perdere la privacy.
È difficile quantificare cosa vuol dire perdere la propria privacy, ma quando accade non è piacevole. Oggi è possibile con il microtargeting manipolarci. È possibile avere una enorme massa di dati su di noi, sulle nostre preferenze e aspettative.
Il futuro dipende dalla collaborazione, siamo tutti sulla stessa barca, non in competizione.