UniversiNet.it – La spiegazione di un terremoto è relativamente semplice nella sua pura “meccanica”. Il moto relativo delle placche terrestri carica progressivamente le rocce della crosta come delle gigantesche molle. Quando le rocce non sono più in grado di sostenere queste spinte si rompono lungo delle superfici chiamate faglie
e l’energia elastica caricata dalle rocce nell’arco di centinaia di anni viene rilasciata in pochi secondi attraverso l’emissione di onde elastiche. Queste ultime sono emesse sia durante la propagazione della rottura (che avviene a chilometri al secondo) che durante lo sfregamento delle masse roccia (che avviene a velocità di qualche metro al secondo).
Il lavoro pubblicato oggi dalla rivista “Nature” descrive il comportamento di una faglia durante un terremoto.
Questo tipo di ricerca, fondamentale per comprendere come funziona il motore dei terremoti e per poterli un giorno prevedere, si avvale di un approccio alternativo e complementare a quello sismologico. Infatti i terremoti distruttivi per l’uomo enucleano a qualche chilometro di profondità e, per questa ragione, la sismologia studia i terremoti mediante l’interpretazione delle onde sismiche. Ma se è vero che sono numerose le informazioni che si possono ricavare da questo studio indiretto (per esempio, quanto è grande il terremoto, come si propaga la rottura, ecc.) sfortunatamente l’analisi delle onde offre informazioni limitate sul funzionamento di un terremoto. Con semplice analogia, la sismologia studia un terremoto come il nostro udito studia il motore di un auto: ascoltando il rombo del motore, siamo in grado di stabilire approssimativamente la cilindrata del motore e se l’auto, per esempio, viaggia verso di noi. Ma con l’udito non siamo in grado di “vedere”come lavora il motore, come si muovono i pistoni, ecc.
E’ possibile sollevare il cofano del motore dei terremoti e guardarci dentro per vedere come funziona?
Il gruppo coordinato dal Prof. Giulio Di Toro dell’Università di Padova, che unisce studiosi italiani dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma e di altre università giapponesi, cinesi, coreane e britanniche, ha analizzato i risultati di esperimenti effettuati con particolari macchine sperimentali negli ultimi dieci anni.
In questi esperimenti vengono riprodotti in laboratorio le straordinarie condizioni di deformazione raggiunte durante un terremoto (velocità di spostamento di diversi metri al secondo, pressioni pari a diversi chilometri di crosta, spostamenti fino a una decina di metri).
«Viene dimostrato, grazie al lavoro del nostro gruppo di ricerca – dice Giulio Di Toro – che il calore prodotto dall’interazione delle superfici in profondità nella Terra è in grado di fondere la roccia o di scatenare reazioni chimiche che complessivamente lubrificano la faglia. Questo risultato da una parte scuote le conoscenze consolidate sulle proprietà delle rocce, che prevedevano un attrito circa dieci volte superiore a quello misurato negli esperimenti, e dall’altro giustifica diverse osservazioni sismologiche. Per esempio, la lubrificazione delle faglie durante un terremoto può giustificare gli straordinari spostamenti e dimensioni del terremoto di magnitudo 9 dell’11 marzo 2011 di Sendai/Tohoku. In questo caso, masse grandi come metà della nostra penisola, sono state spostate fino ad una decina di metri, sollevando di diversi metri il fondo dell’oceano, mettendo in movimento la colonna d’acqua sovrastante e quindi generando il terrificante tsunami che ha spazzato via la costa orientale del Giappone».
Gli esperimenti presentati in questo lavoro sono stati effettuati in laboratori statunitensi e giapponesi, ma nell’ultimo anno, grazie a prestigiosi finanziamenti dell’European Research Council (Unione Europea) e dei Progetti di Eccellenza della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, l’Italia dispone di due apparati sperimentali per studiare i terremoti e installati rispettivamente presso l’INGV di Roma e il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova. L’aspetto interessante è che questi apparati sperimentali progettati specificatamente per studiare la fisica e la chimica di un terremoto, sono e saranno impiegati anche per lo studio delle frane e di processi di frammentazione e usura di interesse industriale.