Lo abbiamo incontrato per parlare di musica, Internet, nuove tecnologie e vecchie passioni, cercando di risalire il filo invisibile che lo accompagna nella sua esperienza di artista e di uomo.
Un viaggio nella memoria, nell’emozione, nel sogno e nei progetti di uno tra gli artisti italiani più attenti all’evoluzione dei linguaggi.
Un ponte ideale che lega il rigore della dimensione “classica” del suo ultimo tour“Incanto” accompagnato dal solo pianoforte, nei principali teatri lirici italiani all’ipertecnologico mondo del world wide web, dove Claudio Baglioni sta per varare il progetto “Download”, rendendo, per la prima volta, scaricabili dalla rete dodici brani eseguiti dal vivo , tratti del suo repertorio, in una emozionante lettura a due voci: lui e il suo pianoforte.
Claudio: da “Incanto” dove ti presenti in una dimensione assolutamente tradizionale, verrebbe da dire “classica” (solo, con il pianoforte a coda, sul palcoscenico di un teatro) a “Download”, un’operazione pensata, esclusivamente per i navigatori della rete. Non ti spaventa questo salto di tempo?
Non sono due mondi così distanti come sembrano. E non solo perché, come talvolta si dice, “il futuro ha il cuore antico”, ma perché ciò che resta sempre attuale, indipendentemente dal mezzo con il quale si trasmette il messaggio, è il valore direi, se la parola non sembrasse eccessivamente altisonante, universale della musica.
Quale pensi che sia, al di là del filo rosso delle canzoni, il denominatore comune tra “Incanto” e “Download”?
Forse il rapporto individuale. Ti sembrerà strano ma è così. La dimensione così raccolta e circoscritta dei teatri lirici, crea un rapporto diretto, immediato, individuale con le persone che sono in sala e ti ascoltano. Le vedi una ad una, cogli l’andamento dei loro pensieri, il vibrare delle loro emozioni. C’è la magia di un contatto che i palasport o gli stadi non ti possono dare.
Su Internet, però, non vedi nessuno…
E’ vero, non vedi nessuno, ma sai che chiunque sia lì, di fronte a quella platea potenzialmente sconfinata, è, in realtà, solo. Solo, con la propria tastiera, il mouse, il monitor e, sia che stia navigando o chattando, il rapporto è, di fatto, un rapporto individuale e diretto, per quanto mediato, evidentemente, dallo strumento informatico. La differenza è tra realtà e virtualità, ma siamo sicuri che sia una differenza così netta?
In effetti tu sei sempre stato molto attento all’evoluzione delle tecnologie: mi viene in mente il tour “Assolo”, nel quale suonavi una serie impressionante di strumenti collegati tra loro da un sistema di interfacciamento digitale.
E’ stato una specie di salto nel vuoto, un’esperienza straordinaria (almeno dal mio punto di osservazione) e, ogni volta che ci penso, mi vengono i brividi a pensare a come ho fatto ad affrontarla.
La tecnologia è importante?
Lo è l’evoluzione dei linguaggi. La cosa che mi affascina di più è l’evoluzione dei linguaggi con i quali ci esprimiamo e, quindi, anche delle tecnologie che, da una parte, sono il mezzo con il quale diamo forma alle nostre idee (anche il pianoforte, a suo tempo, apparve come uno strumento rivoluzionario ed era senz’altro la punta tecnologicamente più avanzata di
quella stagione), e, dall’altra, sono spesso loro stesse a suggerirci nuovi linguaggi.
Secondo te, quindi, le nuove tecnologie hanno, in qualche modo, anche un ruolo creativo?
E’ difficile negarlo. Pensiamo a come le nostre sensazioni, le nostre emozioni, il nostro modo di pensare, di guardare alle cose, di parlare e di comportarci sia cambiato e cambi con il mutare delle tecnologie. Non penso solo alla musica, penso alla fotografia, alla radio, alla televisione, al cinema, ma anche al computer, che ha –da più di vent’anni ormai- un ruolo di assoluto primo piano in moltissime attività creative.
Non sei, quindi, contrario al nuovo?
Si può essere contrari al futuro? E, ammesso che si possa esserlo, possiamo davvero pensare che non arriverà, che non metterà in discussione le nostre categorie, le nostre convinzioni, il nostro modo di fare? Qualcuno dice che il futuro è un cavallo imbizzarrito. In questo caso penso che, piuttosto che rimanere a piedi, sia meglio imparare a usare le redini e vedere dove ci porta. Opporsi al futuro, significa opporsi alla vita. Non mi pare una grande scelta.
C’è, secondo te, un confine tra creatività e tecnologie?
E’ una querelle vecchia e anche di profilo piuttosto basso, che non ha mai portato da nessuna parte.
Ok, ritiro la domanda…
No, no: la domanda è giusta! Sono le categorie che alimentano questa polemica che non hanno molto senso. Non credo che nessuno possa tracciare un segno col gesso per terra e dire: fino qui arriva la creatività, da qui in poi c’è la tecnologia. Tecnologia e creatività vanno di pari passo dall’istante stesso nel quale l’uomo ha cominciato ad avvertire il bisogno di dare voce a quello che aveva dentro. E credo che sarà così fino alla fine.
Se cercassimo una linea di demarcazione certa tra le idee e i mezzi (se siano, cioè, le idee a modificare i mezzi o i mezzi a stimolare la nascita di nuove idee), faremmo molta fatica a trovarla e perderemmo del tempo. E’ un orizzonte molto difficile da individuare, come una notte nella quale mare e cielo finiscono col confondersi.
Qual è, ammesso che ci sia, il sistema per distinguere una proposta artistica da una semplice “operazione di marketing”?
Premetto che non ho nulla contro le operazioni di marketing, come le chiami tu, che –se sono buone- hanno una loro dignità e un loro senso. Ma, detto questo, credo che la differenza risieda, essenzialmente, nella qualità della proposta. Tutti noi sentiamo subito quando una proposta –qualunque essa sia- ci convince e ci prende o non riesce né a convincerci, né a prenderci. Nel primo caso è perché l’autore aveva qualcosa da dire e aveva trovato il momento giusto e il modo giusto per dirlo; nel secondo caso, anche se la confezione è ricca e -li per li- incuriosisce e attrae, ci rendiamo subito conto che siamo di fronte ad un prodotto nel quale i mezzi hanno surrogato la creatività. Un prodotto privo di ragion d’essere, senza messaggio, senza energia. Un vuoto ben vestito. Se l’uso dei mezzi è strumentale e fine a se stesso, il prodotto è artificioso, finto: plastica. La gente se ne accorge e il risultato ha le gambe corte.
Come definiresti il progetto “Download”?
Il bisogno di esplorare un orizzonte nuovo. Ma anche una sorta di passaggio obbligato. La rete è una realtà e, come ogni realtà, ha aspetti positivi, affascinanti, altri senza infamia e senza lode, altri ancora, negativi e inquietanti. Il nostro ruolo è –come sempre- distinguere e scegliere.
Internet, in sostanza, è un fenomeno con il quale il confronto è obbligato. Mi piacerebbe che si uscisse dall’idea del fenomeno Internet, dell’evento Internet e si entrasse nell’idea della realtà Internet, che può offrire molto di più di quanto immaginiamo e aspetta solo che noi impariamo a prendercelo. Altrimenti succede quello che è successo quindici anni fa con l’avvento del personal computer. La parola stessa “computer” sembrava appartenere ad un linguaggio sovrannaturale, esoterico, riservato ad una ristretta comunità di iniziati. Ci sono voluti quindici anni per capire che era un elettrodomestico, certamente più intelligente di quelli ai quali eravamo abituati, ma pur sempre un elettrodomestico.
E’ vero, Internet è ancora una parola magica..
A volte qualcuno ne parla come un tempo si parlava di quello che si pensava ci fosse (o non ci fosse) al di là delle colonne d’Ercole. E’ una parola che apre tutte le porte. Se ci sei: esisti, se non ci sei: non sei niente. Dobbiamo ancora trovare un equilibrio nel rapportarci con questo nuovo universo: farlo scendere dalla sfera magica dei simboli e portarlo a noi, alla nostra quotidianità, alle nostre esigenze concrete, reali o fantastiche che siano. Io credo che Internet sia uno specchio: il nostro specchio, lo specchio della realtà che abbiamo contribuito a creare, ma non credo che sia uno specchio deformante. Se c’è qualcosa di deformato è l’immagine, non il suo riflesso.
Tu non sei nuovo a Internet, anzi, il tuo sito ha avuto riconoscimenti importanti.
E’ vero e ne sono rimasto anche piuttosto sorpreso di questo. A me ha interessato e, perché no, anche affascinato l’idea in sé sin dal primo momento. Mi interessava questo oceano di opportunità, questo poter entrare potenzialmente in contatto con un insieme pressoché sconfinato di naviganti, con le loro idee, le loro parole, le loro intuizioni, la loro voglia e la loro arte di comunicare.
Perché “Download”?
Mi è sembrato il passo naturale di questo mio rapporto con la rete. Sono stato uno dei primi ad avvertire l’esigenza di un luogo virtuale dal quale trasmettere (ma anche ricevere) e, con un drappello di collaboratori, abbiamo messo su questo sito, che –con nostra grande sorpresa- è diventato uno dei più visitati.
E che, dal suo apparire, è già stato rivoluzionato tre volte, se la memoria non mi inganna.
Non ti inganna, ma non è finita qui.
Cosa bolle in pentola?
Stiamo pensando ad una trasformazione radicale del concetto stesso di sito, non tanto nella sua struttura grafica, quanto nella logica stessa dell’architettura del sistema.
Puoi anticiparci qualcosa?
Non è ancora il momento. Quello che posso dire è che stiamo cercando di fare (naturalmente nel nostro piccolo e fatte le debite proporzioni, per carità) qualcosa di concettualmente simile a quello che il sistema operativo di Macintosh ha, a suo tempo, rappresentato rispetto al mondo DOS: una semplificazione che aveva nell’idea di una struttura “ideogrammatica” (che cos’erano le icone se non dei simboli?) la chiave immediata e intuitiva di accesso a cose che, prima, sembravano privilegio di pochi.
Un sito semplificato?
Più che semplificato, direi una forma diversa di sito. Abbiamo in mente di rendere il sito più vicino alla forma della realtà che ci circonda, quella nella quale ciascuno di noi si muove ogni giorno. Renderlo, come dire, sempre più familiare. Non sono in grado di dire se si tratta di una prima volta (e chi può dirlo con il proliferare di siti nel Web), ma l’idea ci
piace molto e spero che il risultato sarà per lo meno stimolante.
Torniamo a “Download”: come è nata l’idea?
Ragionando intorno al fatto che il disco –in quanto supporto- è cresciuto molto poco in tutti questi anni. Credo che sia un tema da approfondire. Se non ci interroghiamo su certi perché, non facciamo passi avanti significativi nell’interpretare l’evoluzione di certe tendenze. Si parla spesso di crisi ma, al di là di certe analisi delle motivazioni congiunturali che, poi, sono sotto gli occhi di tutti, non si fanno particolari sforzi creativi dal punto di vista delle proposte. Io sono convinto, invece, che quando l’idea c’è, di solito, paga.
Dici che il disco è cresciuto poco. Intendi dal punto di vista di ciò che offre?
Dal punto di vista di quello che offre, ma soprattutto dal punto di vista della sua capacità di interessare. Viviamo una stagione che, almeno per quanto riguarda la quantità delle proposte, somiglia molto ad una Babele.
Una Babele nella quale, tra l’altro, sono davvero moltissime le cose che meritano attenzione, che sanno incuriosire, interessare, a volte anche affascinare. Le cose, al di fuori del pianeta disco, sono andate avanti ed hanno catturato fasce di interesse sempre crescenti, mentre il disco è rimasto un po’ al palo.
E’ invecchiato?
Non so se sia invecchiato o se l’avvento di altri supporti abbia avuto l’effetto di farlo sembrare più vecchio di quanto in realtà non sia. Di fatto è un po’ come quando sei sul treno e parte quello sul binario vicino e ti sembra che il tuo, per quanto immobile, stia andando indietro.
Eppure mi sembra che anche il disco sia cambiato.
E’ vero: è cambiato, ma non è cresciuto. Ha cambiato pelle, è diventato cd, è stato realizzato e registrato meglio, ma sono cose che arrivano ad una ristretta cerchia di palati fini, per la stragrande maggioranza di noi è rimasto il solito “vecchio disco”: qualitativamente migliore, meno deperibile, forse, ma comunque la solita serie di canzoni in sequenza. E questo mentre fuori, come ti dicevo, le cose sono andate avanti e gli stimoli e i prodotti sono aumentati enormemente. Penso all’interazione suono immagini (all’esplosione qualitativa dei clip), all’avvento di un fenomeno quale la playstation, allo stesso Internet con gli mp3 e, adesso, all’arrivo del dvd con l’home theatre ed il suono in 5+1.
Un vero e proprio bombardamento?
La verità è che i nostri sensi sono sollecitati come mai in passato e non solo le quote di mercato, ma soprattutto le quote di interesse (che poi sono le più importanti, perché sono quelle che generano i mercati) si vanno distribuendo su più “oggetti del desiderio”. Tra poco arriveranno i cellulari di terza generazione nei quali gli mms (con tanto di immagini)
sostituiranno gli sms e la famiglia delle “tentazioni” si arricchirà di un nuovo componente. Dico tutto questo perché sono convinto che bisogna essere consapevoli di certi percorsi, non per esserne condizionati, ma, al contrario, per sapersene liberare, trovando, appunto, un punto di equilibrio.
Sul piano delle emozioni?
E’ come passare dalla geometria piana ai solidi: un cerchio e una sfera sono entrambi rotondi, ma non si può certo dire che siano la stessa cosa. Sento che c’è qualcosa che manca. Negli anni ’60 e ’70 era la musica il linguaggio “dominante”, quello che affascinava più di ogni altro, era quella la parola chiave sul piano aggregativo, sul piano delle conquiste sociali, del sogno e, quindi, anche del mercato.
Qual è la parola chiave, oggi?
Direi globalità, ma in un senso diverso da quello che il termine ha assunto in politica.
Quale?
Nel senso che cerchiamo emozioni globali, al centro delle quali essere proiettati, nel fondo delle quali immergerci. Non so se per perderci o per trovarci, ma certamente per sentirci dentro e non fuori: parte e non semplici osservatori.
E la seconda parola?
Interattività. Non c’è più spazio per una fruizione puramente passiva. E ascoltare è una funzione essenzialmente passiva. Ascoltare e vedere lo è meno, ma comincia a denunciare i suoi limiti (vedi che i palinsesti e le formule televisive cominciano a prendere delle contromisure?). La gente vuole partecipare. Il successo di Internet è in parte anche dovuto a questo: in rete siamo tutti protagonisti, sia che siamo soli, che chattiamo o che facciamo parte di una community.
Per parafrasare un tuo lavoro potremmo dire che vogliamo essere sempre più attori e sempre meno spettatori?
Esattamente. E’ un passaggio di stato fondamentale e, almeno in parte, è dovuto alle nuove tecnologie che, per la prima volta, ci mettono in condizione di essere centro e non periferia, e questo non solo nella musica.
“Download” si inserisce in questo processo?
Ne è certamente figlio e non solo perché senza Internet non sarebbe mai nata un’idea del genere, ma soprattutto perché incontra nuove esigenze, nuove sensibilità, nuove modalità relazionali. Fino a poco tempo fa c’era una sorta di “collo di bottiglia” dei mezzi.
A cosa ti riferisci?
Al fatto che o potevi permetterti uno studio di registrazione a tua disposizione o eri tagliato fuori. Oggi, con una spesa che davvero chiunque può affrontare, puoi costruire un mini studio digitale in casa e dar corpo alle tue idee con una qualità professionale. Il muro dei mezzi è caduto e questo apre spazi impensati per la creatività.
Non credi che questo abbia qualcosa a che fare con l’esigenza della discografia di ripensare il proprio ruolo?
Assolutamente, anche se non spetta a me indicare una strada, ma credo che qualcosa si stia muovendo anche in questo senso e, in fondo, se guardi bene, un’operazione come “Download” ne è un primo, significativo, esempio.
Come funzionerà Download?
clicca sulla seconda parte dell'intervista a Claudio Baglioni