Abbiamo visto le caratteristiche generali dell'esame di Ottimizzazione, adesso vi presentiamo alcuni trucchi per passare l'esame
Continua la nostra intervista con il Prof. Bruno Simeone, Ordinario di Ottimizzazione, Presidente del Corso di Laurea in Statistica, Direttore della Scuola di specializzazione in “Ricerca operativa e Strategie Decisionali”.
Professore, il programma d’esame del corso di “Ottimizzazione” cambia di anno in anno o rimane fondamentalmente lo stesso?
C’è una evoluzione graduale del corso ma il programma non cambia drasticamente. Inoltre viene dato agli studenti un assignment durante il corso, che serve come esonero parziale. E’ abbastanza impegnativo e lascio una settimana di tempo per risolverlo. E’ prevista inoltre la possibilità di poter lavorare in piccoli gruppi.
In cosa consiste esattamente?
Consiste nella soluzione di problemi di tipo diverso. Esso include una domanda di tipo teorico, per esempio dimostrare un certo teorema, ma c’è sempre anche una domanda che chiede di studiare un problema reale, trasformandolo in un problema matematico (su questo insistiamo molto). Vi può essere una domanda dove si richiede di utilizzare un certo software. Non sono esercizi semplici ma credo di poter affermare che gli studenti trovano l’assignment molto stimolante, e lo considerano un buon autotest prima dell’esame finale.
L’assignment ha altre due ricadute positive sulla formazione professionale degli studenti. La prima è che offre allo studente, prima della tesi, un’occasione per imparare a scrivere rapporti tecnici, cosa che questi dovrà fare spesso durante la sua futura professione, qualunque essa sia. Attraverso l’assignment noi cerchiamo di correggere anche errori di stile, di accuratezza di esposizione, di logica, ecc. L’altro aspetto significativo è quello di incentivare il lavoro di gruppo. Gruppi comunque che, per coinvolgere attivamente tutti i partecipanti, non debbono superare una certa dimensione. Lavorare in team è un’altra cosa che gli studenti troveranno nella loro professione.
Secondo lei qual’è la parte più complessa del programma?
Io dall’esame voglio capire se uno studente ha studiato e se ha capito. Valuto entrambe le cose e naturalmente il mio punteggio riflette l’uno e l’altro aspetto. Capire un’esame non vuol dire semplicemente rispondere a una domanda aprendo il cassetto giusto, ma stabilire dei collegamenti tra punti diversi del corso. A volte chiedo di risolvere dei piccoli problemi che gli studenti non hanno nelle dispense, anche se hanno tutti gli strumenti logici e matematici per risolverli. Gli studenti bravi, quelli che studiano con un metodo appropriato, non hanno difficoltà nello stabilire gli opportuni collegamenti. Si vuole quindi stimolare la capacità di ragionare su problemi nuovi. In questo la nostra capacità di insegnamento è senz’altro superiore a quella del sistema americano (con l’eccezione del dottorato di ricerca), dove tutto deve essere codificato e dove è inconcepibile che l’esame possa riservare sorprese.
Infatti gli esami nelle Università americane sono quasi tutti scritti.
Si, è così, ma penso che un sistema dove lo studente riesca a risolvere problemi nuovi servendosi di strumenti che ha imparato sia più proficuo, e questo è un punto di forza del sistema europeo.
Mi sembra di capire che Lei ha trascorso alcuni anni in America. E’ così?
Si, ho trascorso complessivamente sei anni nel Nordamerica, tra cui uno al MIT, e posso dire di conoscere il sistema universitario americano abbastanza bene, avendolo vissuto sia da studente che da docente. Ho infatti studiato nella verdissima università canadese di Waterloo, dove ho conseguito un Ph.D. in Combinatorics and Optimization. In seguito ho tenuto corsi sia presso tale università, sia presso la Rutgers University nel New Jersey.
In qualità di Presidente del Corso di laurea in Statistica quali sono secondo Lei i settori emergenti dove un laureato in statistico può operare?
Tradizionalmente nella nostra facoltà, sin dalla sua fondazione, ma direi in tutta Italia, la statistica si è indirizzata soprattutto verso le applicazioni sociali ed economiche. Non è forse vero che nell’immagine comune la parola “Statistica” richiama invariabilmente sondaggi d’opinione e censimenti? L’idea del corso di laurea in Statistica invece è quella di preparare uno statistico polivalente, un “mago dei dati”, che possegga tutti gli strumenti metodologici per affrontare l’intera gamma dello studio dei dati: questa va dal progettare questionari allo scegliere opportuni campioni di popolazioni; dal ragionare sui dati al fare previsioni affidabili; dal prendere decisioni in base ai dati disponibili al decidere di acquisire ulteriori informazioni. Una figura quindi non più tradizionale, ma moderna e molto flessibile.
Una figura di questo genere potrebbe, a mio parere, essere utilizzata in campi che io vedo emergenti: per esempio le telecomunicazioni, dove ci sono masse enormi di dati da analizzare con tecniche statistiche. Un altro campo è quello della genetica, poi le biotecnologie, la climatologia o altre “emergenze planetarie” di cui si è parlato durante un recente convegno a Erice, per esempio l’Aids o i grandi problemi delle megalopoli : tutte aree dove lo strumento statistico è fondamentale perché si tratta di studiare grandi quantità di dati e di stabilire relazioni di causa-effetto.
Per la prima parte dell'intervista clicca qui
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