Scandalo adozioni internazionali in Corea del Sud: viaggio nell’anima nera del “Paese del calmo mattino”

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SEUL – Vivere a Seoul è come immergersi in un mondo parallelo, dove l’antico e l’ultramoderno si fondono in un abbraccio asfissiante ed affascinante allo stesso tempo. Come italiano europeo trapiantato qui, ogni giorno è una sfida per intaccare una mentalità e tradizioni cosi diverse dalle nostre. Dietro le luci al neon di Gangnam e la serenità dei templi buddisti del paese del Calmo Mattino”, si nascondono storie che è giusto raccontare per non dimenticare e aiutare le vittime a recuperare almeno la serenitàì, cosi importante in questa parte di mondo. Lo scandalo che ha scosso la Corea del Sud negli ultimi anni ha riportato alla luce  ferite mai sanate: migliaia di bambini sono stati sottratti alle loro madri e inviati all’estero per adozioni internazionali, spesso senza il loro consenso informato o attraverso inganni crudeli.

Dopo la Guerra di Corea, il paese ha affrontato una crisi economica e sociale devastante, in milioni vivevano in enormi campi profughi grazie agli aiuti internazionali. Molte madri, soprattutto quelle non sposate, venivano emarginate e costrette a scelte impossibili per sopravvivere. Le pressioni sociali erano schiaccianti, e le istituzioni spesso non offrivano il sostegno necessario. Così, numerosi bambini sono stati dati in adozione all’estero, in alcuni casi con pratiche discutibili o addirittura illegali.

Passeggiando per le strade di Seoul, tra i mercati tradizionali e i grattacieli firmati dalle Archistar internazionali, è difficile immaginare che sotto questa vibrante superficie si nascondano le tante storie di separazioni forzate e identità spezzate. Ma è proprio qui, in questa città che non dorme mai, che ho iniziato a comprendere la complessità di una cultura tanto affascinante quanto antica e misteriosa.

Nel bel film “Ritorno a Seoul” (Retour à Séoul) che trovate anche sulle piattaforme streaming più note, diretto da Davy Chou nel 2022. La pellicola segue la storia di Freddie, una giovane donna coreana adottata da una famiglia francese. Spinta da un impulso improvviso, decide di tornare in Corea del Sud alla ricerca delle sue origini.
Una ragazza francese ma nata in Corea, a cui tutto era stato nascosto. Ma anche una Coreana senza alcuna conoscenza della sua cultura e della sua lingua. Il film è un ritratto intenso e delicato di cosa significhi sentirsi stranieri nel proprio paese natale. Le sue esperienze riflettono le sfide affrontate da molti adottati internazionali: la ricerca di sé stessi in un mosaico di ricordi frammentati e legami perduti. Le assurde regole burocratiche delle agenzie di adozione internazionale in Corea e la scoperta di genitori biologici spesso segnati dalla vita dura e problematici. 

Guardando “Ritorno a Seoul”, ho riconosciuto in Freddie la sensazione di essere in bilico tra due mondi, senza appartenere completamente a nessuno dei due che ogni tanto mi appartiene. Il film cattura con sensibilità la bellezza e la complessità della cultura coreana, rendendo tangibile quel senso di meraviglia e straniamento che spesso provo vivendo qui.

Ho avuto l’opportunità di incontrare alcuni di loro qui a Seoul. Le loro storie sono potenti testimonianze di resilienza e speranza. Mi hanno raccontato di come, nonostante le difficoltà, siano determinati a creare ponti tra le culture e a guarire le ferite del passato. Spesso ricercatissimi dalle aziende multinazionali per questa loro duplice natura di ponte tra Corea e occidente, rischiano troppo spesso di restare soli con i loro fantasmi e affogarli nel Sodju, la fortissima grappa di riso coreana.

La società coreana sta lentamente riconoscendo queste ingiustizie. Le leggi sulle adozioni sono state riformate per garantire maggiore trasparenza e tutela dei diritti delle madri e dei bambini. C’è ancora molto da fare. La sensibilizzazione su questi temi è fondamentale. È importante che storie come quella di Freddie raggiungano un pubblico ampio, per promuovere comprensione e cambiamento.

La Corea del Sud è un paese di straordinaria bellezza e contrasti. Vivere qui mi ha insegnato che dietro ogni sorriso cortese e ogni gesto di rispetto si nascondono storie profonde, a volte dolorose e forse non è un caso l’assonanza tra la pronuncia di SEOUL e Soul (anima). E’ un paese che te la morde l’anima e non la molla più.

Renato Reggiani
Renato Reggiani
Romano, giornalista, esperto di comunicazione ecosostenibile, designer. Ho il cuore diviso tra l’Italia e l’Oriente dove ho studiato e lavorato a Dubai, ora copro l'area sud Pacifico, mi divido tra Dubai, Tokyo e Seul, ho studiato a Rotterdam con il programma Erasmus per imprenditori. Ho collaborato con giornali, agenzie e tv. Ho depositato due brevetti per migliorare la sostenibilità green delle nostre città. Ho fondato l’Associazione Frontiere della Comunicazione per insegnare il cinese e l'inglese ai bambini delle scuole elementari italiane. Fulminato sulla via di San Francisco dalla Maker Faire, ho collaborato e curato l’area agricoltura digitale per 2 edizioni. Ho collaborato con la facoltà di Scienze della Comunicazione di Roma e il Politecnico di Milano facoltà di Architettura a Piacenza. Premiato a Copenaghen per la Corporate Social Responsibility, non ho ancora visto la sirenetta. Cambiare il mondo si può, un articolo alla volta.

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